PMA: non tutto inizia in laboratorio
Quando si pensa alla procreazione medicalmente assistita (PMA), si immagina subito un mondo fatto di provette, laboratori, di tecniche più avanzate, di intelligenza artificiale. Eppure, ogni trattamento comincia molto prima: con la storia della coppia.
Ogni percorso di PMA inizia con una fase di ascolto, conoscenza e diagnosi. È qui che si raccolgono informazioni fondamentali sulla salute riproduttiva di entrambi i partner, si valutano eventuali ostacoli e si comprende quale trattamento – se necessario – sia il più indicato.
Raccontare la propria storia
Tutti i percorsi di PMA iniziano con una fase fondamentale: quella dell’anamnesi, nella quale la coppia è invitata a raccontare la propria storia. Una fase clinica che – talvolta – viene percepita come secondaria, quasi come un passaggio “formale” obbligato prima del trattamento e che invece è importantissima.
Infatti, è proprio in questo momento che si raccolgono informazioni preziose: sulla salute riproduttiva dei due partner, sulla loro storia clinica, su eventuali ostacoli che possono essere affrontati senza ricorrere subito a tecniche complesse.
Difficoltà di concepimento o infertilità?
C’è differenza tra difficoltà di concepimento e infertilità. Spesso si tende a sovrapporre questi due concetti, ma non sono la stessa cosa. L’infertilità viene definita come l’assenza di gravidanza dopo un anno di rapporti non protetti, o sei mesi se la donna ha più di 35 anni. Tuttavia, capita sempre più spesso che le coppie si rivolgano a un centro prima ancora di iniziare davvero a cercare una gravidanza.
Proprio per questo, il centro di PMA è prima di tutto un luogo di ascolto e di valutazione, dove capire se e quando è il caso di intervenire – e in che modo. Indagare su ovulazione, qualità del liquido seminale, assetto ormonale o presenza di condizioni cliniche preesistenti permette di capire se si tratta di infertilità o di una difficoltà risolvibile con un approccio più semplice. A volte, infatti, basta poco: correggere un piccolo squilibrio ormonale, monitorare l’ovulazione, migliorare la qualità del liquido seminale.
La PMA non sempre significa fecondazione in vitro
La medicina della riproduzione prevede diversi livelli di intervento, ma non sempre è necessario ricorrere a tecniche complesse.
Anche le tecniche di laboratorio possono fornire indicazioni diagnostiche importanti, soprattutto nei casi in cui non si trova una causa evidente di infertilità (quella che viene chiamata “sine causa”).
La PMA non è fatta solo di protocolli. È fatta di persone, di relazioni, di tempi diversi. E proprio per questo, l’ascolto resta uno strumento clinico essenziale. Capire davvero chi si ha davanti permette di costruire un percorso più rispettoso, più efficace e più sostenibile, anche dal punto di vista emotivo.
La tecnologia è importante. Ma non basta.
Dietro ogni percorso ci sono persone, con vissuti, tempi e sensibilità diversi. Ed è solo mettendo insieme competenza clinica, ascolto e attenzione che si può costruire un percorso su misura per realizzare il sogno di diventare genitori. Un percorso che, a volte, aiuta anche a concepire spontaneamente in un secondo momento, dopo aver superato gli ostacoli iniziali.
Non è raro, infatti, che, dopo una prima gravidanza con PMA, alcune coppie riescano a concepire spontaneamente. Non perché “si sono rilassate”, ma perché – attraverso il percorso – sono stati rimossi ostacoli che prima non si conoscevano.
La salute riproduttiva è anche conoscenza
La salute riproduttiva non è solo risolvere una difficoltà di concepimento. Significa anche educare, informare, aiutare le nuove generazioni a conoscere se stesse per costruire il proprio futuro in salute.
Si ringrazia per il supporto la Dottoressa Maria Giuseppina Picconeri, ginecologa, specializzata in fecondazione assistita.